Possono gli Dei cambiare nel corso dei secoli e assumere tratti contemporanei o rimangono immobili?

“Essi la chiamano Nume. Non saprei altrimenti rendere in greco questa parola se non con Disse e fu fatto. Se gli Dei di Omero fanno tre passi e giungono nel luogo designato, questa parola trasmette in un istante nella tua mente tutta la forza del potere divino. Questo nume produce il Fato che altro non esprime che i decreti stessi della divinità, decreti immutabili, perché veri, eterni perché immutabili, buoni perché fatti.”

Platone in Italia, Volumi 1-2

Di Vincenzo Cuoco e Pietro Colombo

Re-ligione

Émile Durkheim, padre dell’antropologia religiosa francese, la considerava espressione della volontà sociale. Parliamo di religione, del concetto del divino e della formazione del pensiero della divinità in cui il sacro è definito come “sistema solidale di credenze e di pratiche relative a cose sacre, cioè separate e interdette, le quali si uniscono in un’unica comunità morale”.  Secondo Durkheim le raffigurazioni religiose costituiscono rappresentazioni collettive che esprimono delle realtà complessive; i riti formano modi di agire che sorgono in mezzo a gruppi costituiti e sono destinati a suscitare, a mantenere o a riprodurre certi stati mentali di questi gruppi.

Partendo da questa idea concettuale, che fonda la religiosità da parte della volontà comunitaria e i suoi usi e costumi interroghiamoci sulla rappresentazione della divinità e i valori che questo status porta con se: l’archetipo, base teorica del pensiero del sacro, la divinità, ente elevato, creatore o distruttore, onnisciente o palesato, presente o elevato e il suo stato di paralisi. Possono le divinità evolvere con lo stato sociale dei praticanti?  Mutare la loro “area di competenza” o le loro rappresentazioni?

La maschera: ciò che è fissato

Il concetto di evoluzione socio-religiosa è presente in ogni cultura ma spesso questo carattere antropologico si sposa poco con l’evoluzione simbolica della divinità. Possiamo osservare come nelle culture antiche una divinità poteva essere adottata tramite quella che in antropologia era chiamata la teoria dello scambio. Se due tribù, per esempio si univano le due divinità principali si fondevano in matrimonio oppure se una popolazione conquistava l’altra la divinità “vincitrice” assurgeva a ruolo di bene supremo che schiacciava la divinità vinta, simbolo del male. Le adozioni leggermente risemantizzate di divinità si trovano spesso come scambio culturale; il culto mariano, per esempio, insediatosi in seguito nella teologia cristiana sembra derivare direttamente dalla figura di una Iside casta e castrata tanto che le sue prime effigi erano appunto statue egiziane.

Mutare la propria natura divina

Il concetto di divinità patrona di un determinato ente, però, è concettualmente un elemento fisso e ricorrente nella storia di un culto a meno che questo non venga stravolto da religioni o popolazioni esterne ad esso. L’Immobilità della figura divina, a livello teorico e di elaborazione del culto, sembra derivare dal concetto di perfezione come meta fissa o finale e di impossibilità evolutiva. Ma pensiamoci, anche solo teoricamente: possono le divinità mutare la loro natura con l’evoluzione societaria di un gruppo religioso?

Conservazione teorica

Proviamo a immaginare, in via teorica e usando solo la logica, come potrebbero definirsi l’evoluzione della percezione della divinità nel fare moderno. Partiamo da un’idea del tutto personale. Per me è poco sensato, e poco logico, assumersi sulle spalle una mera funzione ricostruzionista di qualsiasi culto pagano. Ciò, per me, cozza pesantemente con l’evoluzione naturale di un culto inserito nel fare societario e la mera conservazione teorica o meno di una religione ne svaluta il valore di credo. Da questo ho riflettuto: non è possibile la mutazione degli attributi e delle rappresentazioni della divinità secondo un contesto moderno? Se non praticamente ma dal punto di vista teorico?

Efesto

Rivoluzioni culturali

Certo, pensare un Efesto con simbolo una pressa idraulica, una Atena rappresentata dal web 2.0, o un Marte armato di mitra o armi biloogiche sembra quasi un’aberrazione ma se ci riflettiamo, cos’è la forgiatura, la conoscenza o la guerra nella modernità? Se i patrocini della divinità, con attività prevalentemente sociali, rimangono identici qual è la naturale deriva di essi? Le rivoluzioni culturali di un culto lo tengono vivo e fertile per i partecipanti e se l’animismo permeante si esprime con rivoluzioni culturali quali considerare la divinità x rappresentata, per esempio, dalle fonti di energia rinnovabile tanto di cappello. Chapeau alle innovazioni, alle rivoluzioni culturali che si fondano su una riflessione sulle dinamiche religiose e sulla interazione di significanti e significato.

Parlare del senso

Greimas scriveva infatti: “Determinare le molteplici forme della presenza del senso e i modi della sua esistenza; interpretarle come istanze (orizzontali) e livelli (verticali) della significazione; descrivere i percorsi di trasposizione e trasformazione dei contenuti: sono esempi di una semiotica delle forme. Questi campi d’indagine oggi non sono più utopici. Solo tale semiotica formale potrà apparire in un prossimo futuro, come il linguaggio che permetta di parlare del senso. Poiché, infatti, la forma semiotica non è altro che il senso del senso[1].


[1] Algirdas Julien Greimas, Del senso, traduzione di Stefano Agosti, Bompiani, introduzione, Milano, 1974