Scopriamo chi erano i benandanti, una misteriosa affascinante figura nell’Italia del sedicesimo secolo.
di Vento Notturno
Sulla piattaforma digitale Neflix è stata pubblicata una serie tv di produzione interamente italiana che porta il nome di Luna Nera, a sua volta basata sulla trilogia di romanzi delle “Città Perdute” a opera dell’autrice laziale Tiziana Triana. Nella serie, tra le altre, è presentata la figura del “benandante”.
Storia, non mito
Sono sempre stato incuriosito da questa particolare, misteriosa e affascinante figura. Nel telefilm è stata resa il braccio armato dell’inquisizione e va a rappresentare l’esercito dell’antagonista della vicenda, molto probabilmente per scelte di carattere artistico, snaturando in parte quella che è l’origine reale della storia che la compete e che è possibile tracciare e ricostruire intorno a essa. Parliamo di storia e non di mito, in quanto di questa figura si tiene traccia nei registri degli archivi della Curia Arcivescovile di Udine, in quella Vescovile di Bergamo e in altri archivi civici e statali disseminati in molte città italiane del nord e centronord. Non stiamo, pertanto, parlando di qualcosa di cui non è possibile accertare l’esistenza, ma di un fenomeno reale.
Mondo oscuro
Siamo in Italia, tra il sedicesimo e il diciassettesimo secolo. Il mondo è oscuro e denso di superstizioni. L’Inquisizione è una realtà oggettiva con cui è necessario fare i conti, così come anche i processi alle streghe e la paura del maligno, del diavolo, dei folletti e tutto ciò che è invisibile, tentatore, malefico e che potrebbe essere collegato, anche solo sommariamente, alla stregoneria o presunta tale. In un mondo così, dove essere pescati a raccogliere erbe officinali al chiaro di luna per preparare rimedi medicamentosi per i malesseri di ogni giorno potrebbe portare all’incarcerazione e al processo, il timore delle conseguenze mantiene tutti poco tranquilli, anche perché chi conosce è chi decreta il giudizio di colpevolezza ed è quindi sia giudice che giuria oltre che poi esecutore.
Culto pagano
Siamo in un mondo dove il culto pagano agreste ha lasciato le sue flebili tracce, rimanendo intessuto nelle fibre della società più povera, meno o per nulla istruita. Non è mai stato eradicato, non del tutto. Lo sappiamo noi, che possiamo avvalerci delle opere e degli studi svolti da antropologi come Leland, Murray o lo stesso Ginzburg o nei lavori di De Martino, che nelle sue opere si è spesso interessato al folklore e alla magia del nostro paese, ma ciò che per noi è antropologia, per loro era la realtà.
Superstizione e paura
È in questa cornice di superstizione, paura, magia e ignoranza che emerge la figura del benandante. Il termine stesso “benandante” è popolare friulano. Come possiamo leggere nel verbale di un interrogatorio a Paolo Gasparuto, di professione mugnaio, vissuto a Iassico, attualmente un borgo di Gormòns, in provincia di Gorizia, il nome è usato per riferirsi a coloro che “sono boni, detti vagabondi et in loro linguaggio benandanti”. Dal momento che in altre occasioni lo stesso Gasparuto, come ci fa notare Ginzburg, utilizza il termine “stregoni” per riferirsi a persone come lui, possiamo intuire come per il parroco stesso che l’ha interrogato possa essere rimasto confuso .
Chi erano
Secondo Gasparuto e, in seguito, anche altri che furono interrogati a riguardo e che rivelarono senza problemi dettagli molto peculiari e congruenti agli inquisitori, si tratterebbe di persone che sono “nate vestite”. Nello specifico, nella tradizione popolare, si usa questo termine per riferirsi a coloro che durante il parto sono stati espulsi ancora avvolti, in parte o completamente, nel sacco amniotico. Allo stato attuale si tratta di un caso eccezionalmente raro. Per la sua rarità, fin dall’antichità, questa circostanza era vista come un presagio fausto. Si è sempre ritenuto, Dietro questi peculiari parti si cela anche un interesse esoterico. Secondo le culture contadine e più antiche, a chi nasceva in questa modalità erano attribuiti poteri di preveggenza e capacità magiche.
Congrega o setta
Vediamo qui come sembra tracciare i confini, seppur leggeri, di una sorta di congrega o setta (estremamente numerosa, dato che si contano a migliaia, secondo i racconti degli interrogati) di persone che, nate con la camicia, nottetempo si incontravano per lottare contro gli avversari, gli stregoni malvagi, per difendere la fertilità dei campi. Tuttavia, a parte rari casi, non sembra sia possibile ritenere che queste persone si conoscessero e si frequentassero dal vivo. Come dice Ginzburg nel suo Storia Notturna: “La realtà fisica dei convegni stregoneschi non riceve alcuna conferma, neppure per via analogica, dai processi contro i benandanti. Solo in un caso i misteriosi deliqui lasciano intravedere l’esperienza di rapporti reali, quotidiani, forse di tipo settario. La possibilità che i benandanti si riunissero periodicamente prima di affrontare le esperienze allucinatorie, del tutto individuali, descritte nelle loro confessioni, non può essere provata in maniera definitiva”.
Volo al Sabba
È proprio qui che, nel metodo in cui questi raduni avvenivano, si tratteggia un richiamo a un vero e proprio “volo al sabba”, a dorso di animali come gatti, lepri e conigli, fino a incontrarsi all’aperto con gli altri benandanti. Molte delle testimonianze riportano facilmente alla mente il “sabba”, senza tuttavia alcuna traccia di ciò che poteva essere considerata una prova di colpevolezza, come la negazione o la distruzione si simboli sacri o anche la presenza del diavolo. Secondo Moduco, ci racconta Ginzburg, questi incontri avvenivano in quattro momenti annuali precisi, riconducibili alle cadenze stagionali del raccolto, al punto da poter ricostruire, quindi, una vera e propria ritualità propiziatoria agreste: “ Come fa notare Ginzburg: “Al centro dei convegni notturni dei benandanti vediamo dunque emergere un rito di fertilità, che si modella puntualmente sulle principali vicende dell’anno agricolo”.
Uscita dal corpo
Come ben possiamo immaginare, e come viene anche espresso chiaramente nei verbali, questi incontri si verificavano nottetempo ma non in forma fisica, bensì spirituale: i benandanti uscivano dal corpo e si recavano nei luoghi prestabiliti, dandosi appuntamento con gli altri partecipanti. Moduco affermò che questo processo era particolarmente delicato per lo spirito del viaggiatore. Se ci fossimo fermati a osservare il corpo fisico di un benandante mentre si trovava all’esterno, questi non avrebbe potuto rientrare nel corpo fintanto che fossimo rimasti nei pressi, e se il corpo fosse stato scambiato per morto e fosse stato sepolto lo spirito non avrebbe più trovato la via del ritorno e avrebbe vagato per il mondo fino a quando il corpo non sarebbe morto.
Unguento magico
In quest’occasione vediamo come si parli di qualcuno che “appare come se fosse morto”, al punto da rischiare di essere seppellito vivo: un corpo esanime, del tutto simile a ciò che dovrebbe avvenire se l’anima stessa, lo spirito che risiede dentro una persona, secondo le teorie metafisiche, dovesse abbandonare il corpo fisico per viaggiare; un fenomeno che vediamo in molti processi di stregoneria e che viene attuato, in genere, attraverso l’uso di sostanze psicoattive derivate da alcune piante velenose pestate assieme a altri ingredienti utili a ottenere un unguento (chiamato comunemente unguentum sabbatum) che le streghe usavano spalmarsi addosso in punti nevralgici del corpo (in particolare sotto le ascelle, nell’incavo dell’inguine, intorno al collo – dove la pelle è più sottile e più morbida) dopo un’energica frizione atta ad arrossare e squamare gli strati più esterni dell’epidermide, favorendo così l’assimilazione diretta degli alcaloidi in esso contenuti.
Inquisizione
Ora, com’è possibile accertarsi mediante lo studio dei processi alle streghe o dei testi a essi dedicati, non ci è difficile comprendere come la stragrande maggioranza delle persone che finiva tra le grinfie dell’inquisizione fosse “accompagnata” nella sua confessione mediante circuizione, tortura o interrogatori il cui scopo era tutto fuorché avere delle testimonianze reali di ciò che era raccontato, purché fossero probanti ai fini della conferma dell’incasellamento all’interno dei canoni eretici dell’epoca.
Battaglie notturne in spirito
Nei circa cinquanta processi inquisitoriali a carico dei benandanti che sono stati tenuti tra il sedicesimo e il diciassettesimo secolo, tutto questo manca. Per quanto in molti abbiano provato a far sì che gli interrogati ammettessero di usare unguenti o olii utili a prendere le sembianze di animali e volare al sabba, nessuno di essi ha mai ammesso che ciò avvenisse. Quando hanno cercato di insinuare che si incontrassero per onorare il diavolo, per gettarsi in frenetici riti orgiastici o per rinnegare la fede cristiana o distruggerne le icone sacre, i benandanti non hanno mai ceduto. Come dice Ginzburg: “Da questa documentazione emergono elementi decisamente estranei agli stereotipi dei demonologii”.
Strana esperienza spirituale
Qual era, quindi, l’esperienza che i benandanti svolgevano “in spirito”? Se esaminiamo questi racconti attraverso un filtro esclusivamente razionale possiamo evidenziare due possibili scenari. Uno di questi propone che le persone che avevano queste esperienze fossero affette da epilessia o da altre malattie dalle connotazioni neurologiche all’epoca d’impossibile diagnosi (prendiamo ad esempio il famigerato caso delle streghe di Salem, nello stato del Massachussets). L’altro è che gran parte delle loro perdite di coscienza derivassero dall’uso di unguenti, come sostenuto precedentemente, dalla forte componente allucinogena. In comune con molti altri racconti è il modo in cui lo spirito viene “visto” abbandonare il corpo. Nei processi ai benandanti, così come anche per molte occasioni, si parla di animali come topi che escono dalla bocca della persona addormentata e si allontanano, o a volte si parla di mosche.
Re Quercia e Re Agrifoglio
Di tipo reale, fisico, erano percepite anche le riunioni e le battaglie che si tenevano tra benandanti e stregoni malvagi, tanto che erano dense di dettagli riguardanti i simboli sulle insegne dei due eserciti e le caratteristiche dei volti dei partecipanti. Come abbiamo visto, questi scontri si tenevano durante le quattro tempora, ossia quell’insieme di giorni che punteggiano il passaggio delle quattro stagioni .La lotta tra estate e inverno è un argomento mitico che, a livello simbolico, trova accoglimento in moltissime culture: basti pensare alla sfida tra Re Quercia e Re Agrifoglio così cara al neopaganesimo filo celtico o, meglio, a tutti i miti che interessano divinità che muoiono, rinascono o che discendono e risalgono dagli inferi. Tuttavia, quello che è possibile notare che è che, nel contesto dei benandanti, la percezione ancora una volta è quella di una battaglia reale.
Finocchio e sorgo
Un altro punto interessante sono le armi che sono usate in queste battaglie. I benandanti impugnano mazze di finocchio, mentre gli stregoni bastoni di sorgo. Entrambe queste piante, in effetti, fioriscono nel medesimo periodo, ma conservano al loro interno un aspetto del tutto opposto. Per il finocchio è abbastanza facile delineare un topos simbolico, dato che da sempre conserva proprietà terapeutiche d’indubbio beneficio, sia nella cultura popolare che in quella officinale: è soprattutto una pianta magica, una delle nove erbe sacre solstiziali per le sue proprietà protettive: tradizionalmente lo si appendeva vicino agli ingressi per tener lontano gli spiriti maligni o lo si utilizzava per purificazione. Il finocchio era considerata una pianta utile a scacciare il male. Diversamente, per il sorgo è più difficile trovare una spiegazione. Ginzburg avanza l’ipotesi che fosse l’arma delle streghe in quanto è identificabile con la scopa.
Processione dei morti
C’è un ultimo aspetto di cui tenere conto: tra i benandanti si potevano contare persone di entrambi i sessi, ma mentre agli uomini toccava il dovere di combattere contro gli stregoni per la fertilità, alle donne era riservato un altro ruolo non meno importante: il contatto con i morti, o meglio, le processioni dei morti. Le donne che nascevano con “il dono” o “la maledizione” di dover uscire dal corpo durante precisi giorni dell’anno, non s’identificavano con il nome di benandanti, ma erano in possesso di poteri più simili alle capacità dei medium che, solo tre secoli dopo, avrebbero riempito di fascino, stupore e interesse i salotti inglesi delle figure più abbienti della società. Queste persone vedevano i defunti, parlavano con loro e “viaggiavano in processione” con loro.
La caccia selvaggia
La processione con i morti, a livello sia mitologico che magico-antropologico, è un evento che non è assolutamente limitato a queste circostanze. Se esaminiamo i culti femminili di Diana, Erodiade o Abundia, possiedono connotazioni legate alle processioni. È qualcosa che ritroviamo anche in altre divinità arboree sempre onorate e legate in particolar modo alle donne: come ad esempio Dioniso, con le menadi che abbandonavano le case per correre al suo cospetto, come ci narra Euripide. Troviamo anche particolare attenzione a passi simili nella cultura germanica della dea Holda e della sua consorella più meridionale Perchta, tutte dee della vegetazione e della fertilità ma, al contempo, anche aspetti della Dea della vita-nella-morte, che guidavano la caccia selvaggia, costituita da coloro che erano morti anzitempo e che infuriavano nei boschi e nei villaggi costringendo le persone a barricarsi terrorizzate nelle loro abitazioni.
Hecate
Una stessa cosa la troviamo anche con Hecate e la sua processione di morti senza pace, coloro che sono stati vittime di omicidi o bambini che hanno perduto la vita prima di poter diventare adulti. A queste divinità e a questi morti che tornano nelle case è necessario offrire riparo e lasciare vivande da consumare, affinché possano benedire le case che visitano, per non incorrere nelle loro ire. Qualcosa a riguardo lo troviamo proprio anche tra i benandanti: negli interrogatori asseriscono che nelle case è bene sempre lasciare dei secchi di acqua pulita perché sia loro che gli avversari ne possano bere quando tornano dalle battaglie. Se non dovessero trovarle guasterebbero il vino orinando nelle botti.
Anna la Rossa
Il particolare emerge dal processo di una donna di Udine, vedova di Domenico Artichi, di nome Anna detta la Rossa, tenutosi verso la fine del 1581. Secondo l’interrogatorio e i testimoni, la donna affermava di essere in grado di parlare con i morti, ma di non poter rivelare ciò che loro le raccontavano, altrimenti l’avrebbero picchiata con rami di sorgo. A questo processo, negli anni seguenti, ne seguirono altri due ad altre due donne che furono accusate di avere poteri simili. Tuttavia è bene notare che non si tratta di vere e proprie facoltà, che permetterebbero una “scelta” nel loro uso, ma un richiamo, un bisogno impellente a cui non si può resistere e che le portava a uscire e camminare in processione con i morti: lo stesso, anche se per fini diversi, che viene citato anche dai benandanti.
:
Bibliografia
Carlo Ginzburg: I Benandanti, Stregoneria e culti agrari tra Cinquecento e Seicento. Einaudi, Torino, 1972.
Carlo Ginzburg: Storia Notturna, una decifrazione del sabba. Einaudi, Torino, 1989
Alfredo Cattabiani: Florario, Miti, leggende e simboli di fiori e piante. Mondadori, Milano, 1996
Margaret Murray: Il Culto delle Streghe nell’Europa Occidentale. Garzanti, Milano, 1978
Margaret Alice Murray: Il Dio delle Streghe. Astrolabio-Ubaldini, Roma, 1972.
Charles GodfreyLeland: Aradia, il Vangelo delle Streghe. A cura di Franco Spinardi, All’Insegna di Ishtar, 1994.
Jules Michelet: La Strega. Einaudi, Torino 1971