Cosa significa essere pagani nel nuovo millennio?
di Salvatore Fortunato
“C’è un vecchio detto a riguardo di coloro che dimenticano la storia. Non lo ricordo, ma è molto bello.” Stephen Colbert
Un grande filosofo contemporaneo, Salvatore Natoli, usa coraggiosamente il termine neopaganesimo per parlare di una nuova etica capace di dare un senso all’epoca post-cristiana. Un’etica indubbiamente non cristiana ma non necessariamente anti-cristiana. Per farlo Natoli si riferisce alla visione greca del mondo ma, in particolare, di una certa grecità e non della cultura greca in tutta la sua interezza.
Ai Greci non si torna
Perché questa scelta selettiva? Ce lo dice esplicitamente lui stesso: “Certo ai greci non si torna. Caso mai li si sceglie. Il paganesimo – per quel tanto che è possibile – non designa un’appartenenza, indica solo un’opzione. Anzi è a questo titolo che esso è ancora possibile. Ma che cosa vuol dire che il paganesimo è ancora possibile come opzione? È vero, quel che il tempo consuma si perde irrimediabilmente, ma è altrettanto vero che quanto è accaduto, per il fatto stesso d’essere accaduto, dura indefettibilmente, almeno secondo la classica formula che factum infectum fieri nequit: ciò che è accaduto non è suscettibile in alcun modo di mutamento. Quel che è accaduto in qualche modo resta com’è, e bisogna stabilire come. L’accaduto non è solo qualcosa che cessa d’essere, ma è anche qualcosa che in certo senso guadagna per sé l’eternità. Detto altrimenti, tutto ciò che cessa d’esistere come vita, continua a vivere come idea, resta impregiudicato come modello.”[1]
Paganesimo storico e modernità
Tutti i culti pagani contemporanei intendono riferirsi, in qualche modo, al cosiddetto paganesimo storico (e già qui sorgerebbe un lungo dibattito sul termine “pagano”). La differenza sta proprio nel “modo” in cui ci si riferisce al passato. Abbiamo quindi due elementi, il “passato” cioè quello che viene definito paganesimo storico, ed il “modo di riferirsi ad esso” cioè le modalità con il quale ci si relaziona con questo bagaglio storico.
Simboli pagani rimossi
Per il primo elemento, necessita un brevissimo excursus per capire quanto è lontano quel “mondo”. Nel 380 e.v. l’imperatore Teodosio I decreta l’imposizione del cristianesimo quale religione di stato. Due anni dopo, nel 382, l’ara della Vittoria, l’ultimo importante simbolo pagano viene rimosso per sempre dalla Curia romana per decisione di Graziano. Tra il 391 ed il 392 e.v. si susseguirono i decreti teodosiani che sancivano definitivamente l’intolleranza verso la religione preesistente. Si mise al bando ogni genere di sacrificio pagano, si proibì addirittura di volgere lo sguardo verso gli antichi santuari. Si proibirono persino i culti privati con la grave accusa di lesa maestà.
Cristianizzazione
Ovviamente il processo di “de-paganizzazione” fu graduale perché gli antichi culti sopravvissero in campagne e luoghi remoti. In oriente, Giustiniano, ancora nel 529 comminava la pena di morte a quanti avessero continuato ad osservare i riti antichi. Più lenta fu la cristianizzazione dell’Europa del nord ed ancora più lenta quella dell’est dove ancora oggi in alcune campagne della Lettonia ci sono piccole comunità pagane. Questo solo in Europa naturalmente, ma l’occidente cristianizzato ha conquistato le Americhe per esempio, l’Oceania e parte dell’Asia.
Fine di un mondo
Emerge un dato storico incontrovertibile: la fine di un Mondo, la fine di un’epoca. Eppure dopo più di un millennio di “morte” pagana c’è chi si dichiara ancora pagano. Vi sono altri che non si dichiarano pagani ma addirittura usano altri termini per indicare la prosecuzione di quel mondo ormai scomparso. C’è chi usa termini (simili) come Gentili, praticanti la Religio e così via. Questi ultimi vorrebbero “continuare” le religioni del passato così come erano all’epoca (certo magari togliendo i sacrifici cruenti!), ricostruendo pratiche cultuali attraverso un’attenta analisi documentale, che spesso però è solo ideale.
Ispirarsi
È proprio questo il punto: si può continuare qualcosa che non c’è più? Ed ecco il secondo elemento alla nostra attenzione. Vi sono vari modi attraverso cui i moderni pagani si relazionano con le religioni del passato. Alcuni ammettono semplicemente di ispirarsi ai vecchi culti, altri come i Gentili sopra menzionati, affermano di voler continuare il passato, di continuare una Tradizione. Mentre la posizione di chi si ispira semplicemente è più intuibile, di meno facile comprensione sembra la posizione del continuum.
Mala tempora currunt
La nostalgia per il passato è una costante che attraversa ogni generazione . “Si stava meglio quando si stava peggio” è la classica frase qualunquista e nostalgica che si usa dire quando il contatto con la realtà sembra labile, quando il presente è vissuto con paura ed incertezza. Ecco che scatta la nostalgia che, a sua volta, crea un grande mito, quello dell’età dell’oro, immaginato come un tempo fuori dal tempo dove tutto era bello e “si potevano mangiare anche le fragole”[2]. Così la Roma antica diventa la civiltà dei valori, dell’integrità morale, della religiosità vissuta intensamente… dimenticando che concausa della decadenza dei Fasti romani fu dovuta anche alla dissoluzione morale e che la gravitas romana spesso era in contrasto con il pragmatismo più sfrontato, soprattutto in campo religioso. [3]
Ideale di perfezione
La Grecia diventa un ideale di perfezione, un’epoca di intellettuali e di uomini razionali … dimenticando la misoginia imperante e l’irrazionalità misticheggiante tipica della grecità.[4] Insomma ogni epoca ha avuto ovviamente dei lati positivi ed altri negativi così come i due aspetti sono insiti nell’uomo stesso. Ora data questa premessa, può avere un senso nel tempo presente ri-evocare quel passato?
Quale passato?
Appurato il dato incontrovertibile della fine storica di un’epoca e di un culto che senso ha, nel tempo presente, celebrare il natale di Roma o l’anniversario della dedicazione del tempio di Venere (ora distrutto)? Suona un po’ come se ora a Torino volessero celebrare San Nicola di Bari! O come se nel mio piccolo paese ci mettessimo a festeggiare per l’anniversario della dedicazione del Duomo di Milano! Altra questione delicata, a quale passato ci si riferisce? Volendo celebrare (nonostante il discorso di prima) una ritualità romana, o greca o celtica, a quale passato ci si riferirebbe? La Roma dei Re era diversissima da quella degli Imperatori. La Grecia di Atene era diversa da quella di Sparta ed entrambe le città furono diverse da loro stesse nel periodo classico ed in quello ellenistico, tanto per fare un esempio.
La storia è un fiume in piena
Ogni comunità aveva le sue festività, i suoi riti e di suoi miti che spostati dal loro contesto perderebbero il loro senso originale. La verità è che la storia non è una serie di diapositive di cui si può tranquillamente scegliere quella che ci piace di più, ma è piuttosto un fiume in piena che tutto travolge, religioni comprese. Attaccarsi alla sua immutabilità non fa che sancirne, definitivamente non solo la morte, ma la mummificazione, come una guida turistica che mostra un reperto in un museo. Quante ritualità pagane ha preso la chiesa cattolica? Basti pensare alle cose più semplici come portare una statua in processione o incensare un luogo. Si può parlare in questo caso di tradizione, cioè di un passaggio? E quando si può parlare della così sospirata Tradizione?
Tradizionalmente tradizionali
La tradizione è un passaggio ininterrotto di forma oltre che di consapevolezza. Se guardiamo al mondo religioso, c’è sempre un passaggio, un travaso da un’anfora all’altra ma non sempre passa la forma e la consapevolezza insieme. Se guardiamo al folklore vediamo che alcune forme (riti carnascialeschi, accensione di fuochi ecc) sono passate da un mondo (quello pagano) ad un altro (quello cristiano) senza un passaggio di consapevolezza. Sono per caso consapevoli i manifestanti mascherati di compiere un gesto apotropaico? Sono per caso consapevoli i paesani che accendono un fuoco per Sant’Antonio che quel fuoco è propiziatorio?
Tradizione primordiale
Ci sono consapevolezze invece che sono passate in forme diverse, pensiamo ad esempio al culto di un santo. Come prima invocavo una forza con la consapevolezza che possa guarirmi da un male, adesso invoco la stessa forza sotto un’altra forma con la stessa consapevolezza che possa guarirmi da un male. Mentre nel caso in cui ci sia passaggio di forma e consapevolezza, si è certi di trovarsi di fronte ad una tradizione, in questi casi è dubbio. Il concetto di Tradizione è stato ampiamente trattato da colui il quale viene definito il codificatore dell’esoterismo dottrinale del XX secolo: René Guenon . Egli definendosi esclusivamente come un tradizionalista, esalta l’idea di una Tradizione primordiale, fonte di ogni conoscenza veritiera fin dall’origine e trasmessa, dall’inizio del mondo, senza alterazione attraverso l’iniziazione.
Contro-iniziazione
Naturalmente, tutto ciò che non si conforma a questa concezione della Tradizione è giudicato antitradizionale, mentre ciò che appare come deformazione dell’iniziazione sarebbe, in realtà, una contro-iniziazione, come nel caso della teosofia, per esempio. Da questa concezione deriva non solo una critica alla scienza, ma anche una forte critica alla religione, considerata come degenerata in moralismo e rea di provocare delle pseudo-spiritualità come ad esempio lo spiritismo. Nonostante ciò, la Tradizione primordiale veicolata dall’iniziazione (cioè l’esoterismo) ha bisogno dell’appoggio della religione (essoterismo). Ma quale religione?
Guenon
È necessario per l’iniziato, secondo Guenon, unirsi alla religione culturale in vigore, considerata come garante del deposito tradizionale proprio ad una razza, ad uno spazio e ad un dato tempo. Conformemente all’esoterismo tradizionale, un iniziato occidentale sarà, quindi, frammassone. Mentre sul piano essoterico sarà cattolico o ortodosso. Guenon stesso si convertirà all’islam, trasferitosi in medio oriente. Evola fa propria questa idea, ma anziché di principi da conoscere, parla di “stati dell’essere da realizzare”. Entrambi gli esoteristi vedono però la Tradizione su di un piano “ideale”, che non è mai traducibile senza residui in quello storico.
Forza generale ordinatrice
Essa è perciò qualcosa che trascende ogni forma storica, per cui fossilizzarsi su determinate forme storicamente condizionate vorrebbe dire per Evola tradire, nel vero senso della parola, la Tradizione. «La tradizione – dice Evola – è, nella sua essenza, qualcosa di metastorico e, in pari tempo, di dinamico: è una forza generale ordinatrice in funzione di principi aventi il crisma di una superiore legittimità (…) forza la quale agisce lungo le generazioni, in continuità di spirito e di ispirazione, attraverso istituzioni, leggi, ordinamenti, che possono anche presentare una notevole varietà e diversità». E subito dopo denuncia come errore fatale «l’identificare o il confondere l’una o l’altra di siffatte formazioni di un passato più o meno lontano con la tradizione in sé stessa »[5].
Tradizione metafisica
Il compito dell’uomo tradizionale non é quindi per Evola imbalsamare la storia, di negarla, ma quello di mantenere inalterati, nel tempo, i rapporti rispetto ai principi metafisici che sono immutabili e che rappresentano la Tradizione stessa. Ma se la Tradizione é metafisica, come é possibile la conoscenza di essa? Evola dichiara esplicitamente lo sforzo razionale della filosofia come insufficiente e il sentimento della religione inadeguato a ciò. Il mezzo principe é rappresentato per l’ esoterista dall’esperienza, non solo sensibile, ma anche e soprattutto quella di natura sovrasensibile.
Evola
Ora molti ricostruzionisti pagani (gentili) fanno proprie le teorie di Evola applicandole però al culto strictu sensu, dimenticando la concezione metafisica e atemporale della Tradizione, imbrigliandola ad un epoca e ripetendo gli stessi gesti, gli stessi riti e celebrando gli stessi avvenimenti di millecinquecento anni fa. Molti si domandano se questo abbia un senso. Spesso poi viene data una colorazione politica alla ricostruzione religiosa, che diventa una ricostruzione culturale tout court. Questo ovviamente solo per dare giustificazione religiosa ad una teoria, quella evoliana, che era squisitamente metafisica e spirituale, ma non religiosa in senso devozionale. Quando Evola voleva spingere il regime fascista a ritornare alla Romanità lo voleva fare attraverso i mezzi propri della Tradizione: I simboli.
Indietro tutta o verso l’infinito e oltre?
In conclusione possiamo dire che alcuni pagani tentano di “ricostruire” il passato come se non ci fosse mai stato il crollo di un mondo ed il subentro di un nuovo mondo cristiano, con il suo modo di fare e di pensare. Stranamente sono vittima anch’essi di questo modo di pensare. Si, perché pensare di avere la verità, sentirsi una religione privilegiata e migliore rispetto alle altre é una mentalità tipicamente giudaico – cristiana! I neopagani hanno un approccio che potremmo definire antropologico alla storia. Ogni religione ( come ogni pensiero umano) va contestualizzato.
Ingenuità anacronistica
É sempre stato cosi anche nelle antiche civiltà. Pensare di avere la stessa sensibilità di un romano (di quale romano poi?) può essere vista come un’ingenuità anacronistica. É un po’ come voler pensare a tutti i costi come i nostri bisnonni, vestendoci come loro e magari pensare ad un bel matrimonio combinato per i nostri figli. Avrebbe senso? Se é vero che esiste una Tradizione fatta di principi metafisici che passano attraverso i simboli, non si potrebbe impiegare quei simboli e basta?
Festeggiare i nostri templi
Che senso ha dire: ” Salue Iuppiter” magari in qualche improbabile accento d’ oltre oceano, quando si può benissimo utilizzare la nostra lingua attuale per invocare il padre degli Dei? É necessario celebrare l’inaugurazione di un tempio attualmente inesistente, o forse avrebbe più senso per noi festeggiare l’apertura di un nostro tempio? Ha senso festeggiare l’unificazione dell’Attica sotto la città di Atene che attualmente ha un’altra organizzazione amministrativa? Ai posteri l’ardua sentenza…
[1] S. NATOLI, I Nuovi Pagani. Neopaganesimo: una nuova etica per forzare le inerzie del tempo. Il Saggiatore, Milano 1995, p. 16
[2] Cit. Vasco Rossi, Sally
[3] Basta per esempio vedere il caso dei prodigi. Il desiderio di ottenere segni da parte degli dei si è sempre accompagnato con il bisogno, a volte contraddittorio, di non determinare in anticipo l’azione umana. Da qui tutta una serie di procedure di rifiuto di consultare tali segni, quelle scappatoie ritualizzate, quelle tecniche di capovolgimento di presagi nefasti (come la formula absit omen) , e quel ricorso costante a una controprova se i primi segni apparivano sfavorevoli. Oltre ai presagi c’è da dire che una delle cause dell’ascesa del cristianesimo fu proprio la poca fede che i romani avevano nei propri dei.
[4] Nel ’49 il Dodds c’ha scritto anche un libro: Dodds Eric R. – I greci e l’irrazionale, BUR
[5] J. Evola, Gli uomini e le rovine (1953), Roma 2001, p. 64.