Introduzione di Davide Marrè
Sono passati mesi dalla piccola inquisizione scatenata dal senatore Pillon (promotore tra le altre cose del Family Day), ai danni di quella che ai suoi occhi era una sospetta strega. L’interrogazione parlamentare fatta mesi fa dal neosenatore leghista, usata ad arte per guadagnarsi le grazie del suo elettorato, che ha scatenato un putiferio ai danni di una insegnante, su un progetto approvato dal comune e dalla scuola, non è uscita dalla nostra memoria.
Oggi la sua proposta di legge sulla famiglia ha lo stesso sapore medievale, mentre replicando alla mozione in cui la città di Verona diventa ufficialmente la città confessionale dei movimenti antiabortisti, contro le donne streghe che vogliono gestire il loro corpo (e il loro utero), replica che ‘tutti dovrebbero esprimersi in tal senso’.
Così Erica Gazzoldi è torntata in quel di Brescia, dove nei pressi della scuola elementare di Mocasina (fraz. di Calvagese della Riviera), secondo l’accusa, sarebbe stata “imposta la stregoneria ai bambini, all’insaputa dei genitori”. Abbiamo voluto fare quattro chiacchiere con la scrittrice Ramona Parenzan: colei che ha tenuto il corso “incriminato”, alla luce dei recenti sviluppi che la dicono lunga sull’episodio.
- Il tuo era un progetto di intercultura. Potresti descrivere dettagliatamente le attività che hai proposto ai bambini e le loro finalità?
Siccome è lungo da scrivere, ti mando direttamente alla lettera aperta ai genitori [vedi infondo all’articolo].
- Se non sono indiscreta: qual è il tuo orientamento religioso? E in che modo ritieni possa aver influenzato il tuo lavoro coi bambini?
Sono sincretica: leggo e studio differenti religioni con il loro corredo di pratiche e rituali, da un punto di vista antropologico più che fideistico.
- Secondo te, perché è diffusa tanta paura dell’ “esoterismo”? È giustificata? Ma, soprattutto: chi è terrorizzato dall’ “occultismo” ha la cultura necessaria a comprendere ciò di cui sta parlando?
Credo che si tratti di fantasmi interiori proiettati all’esterno: umano, troppo umano. Se, poi, aggiungiamo una buona dose di ignoranza antropologica, il gioco è fatto.
- Veniamo al libro a cui si ispirava il tuo progetto di intercultura. Fiabe e racconti dal mondo(2015, Milena Edizioni) è frutto della tua penna e di quella di altri autori. Parlaci un po’ del lavoro che vi ha portato a raccogliere e rielaborare storie da Paesi così diversi.
È un progetto corale e polifonico, un libro di fiabe popolari dal mondo rimordernate a opera di autori e autrici di differente provenienza geografica, poi illustrato da differenti illustratrici. Un buon viatico per promuovere un atteggiamenti di apertura culturale e pratiche di cittadinanza non solo politica, ma anche letteraria ed artistica. Il mondo della scuola italiana soffre molto di eurocentrismo referenziale. Portare fiabe e pratiche dal mondo serve, in qualche modo, per spezzare questo “autismo culturale!”
- Perché raccontare fiabe ai bambini, interculturali o meno che siano? Qual è il valore della fiaba?
Promuovere la conoscenza di codici culturali, modi di essere al mondo, di pensare e osservare la realtà differenti. La fiaba è un ottimo dispositivo, perché non insegna soltanto, ma incanta e fa viaggiare con la fantasia.
- Come si ricollega la tua disavventura al clima di intolleranza che stiamo vivendo in generale (contro la “diversità” etnica, sessuale, ecc.)?
Io, come altri e altre, serviamo come scusa per non parlare dei veri problemi dell’Italia, per coprire la m***a altrui. Si tratta di vera mistificazione e strumentalizzazione politica. Credo poco all’autenticità delle ideologie sbandierate; ultimamente, ho uno sguardo un po’ più disincantato.
- Qualcuno è sorpreso del fatto che uomini “moderni ed evoluti” possano essere tanto vulnerabili alla propaganda basata su paure e pregiudizi. Vuol dire che non siamo poi tanto migliori dei nostri antenati? O che siamo addirittura peggiori?
Ora, ciò che viene sdoganato e promosso di più (TG, film, soap opera, canzoni, etc) è il sentimento della paura, della fragilità delle biografie. Siamo (come città e come mondo) nel panico, ovunque. Viviamo nel delirio del capitalismo possessivo, in cui l’altro viene subito identificato come colui che ESPRORIA, ruba, prende e non dona. La comunità non è vista come CUM – MUNITAS, scambio di doni reciproci ma come insieme di fortezze e castelli recintati, case con allarme che scatta ad ogni soffio, perché, a differenza di quanto ritenevano gli stoici (che pensavano OMNIA MEA MECUM PORTO, “porto con me tutto ciò che è mio”), ora gli OMNIA MEA (“le mie proprietà”) sono identificate con i beni materiali. Quindi, io sono lì, nelle cose che ho e che posseggo: una casa, una macchina, una e una sola lingua, cultura, etc. Viene interdetto e demonizzato il viaggio, lo scambio, il contagio culturale. Ma, forse, in fondo aveva ragione il filosofo sloveno Slavij Zizek: temo l’altro, perché, in realtà, temo il suo potere seduttivo e so che, se lo avvicinassi troppo, potrei cambiare, trasformarmi e non ho voglia di fare questo lavoro. Meglio allora è rimanere nelle sabbie mobili delle nostre nevrosi monolinguistiche e monoculturali…
- Bastano l’ignoranza e il volgare pregiudizio a spiegare le paure dell’Italia di oggi? O ci sono motivi più complessi, secondo te?
Gli italiani hanno da secoli affidato ai condottieri, AL GRANDE ALTRO, il loro diritto di presa di parola, il loro diritto di insorgere e ribellarsi. È sempre più un popolo provinciale, reazionario e volgare. Basta solo ascoltare la musica leggera, i testi vuoti e insulsi per accorgersene: molto in sintonia con la frivolezza tossica della nuova classe politica, autocentrata e sovranista.
- Piccola provocazione: pensi che i cosiddetti “diversi” e i cosiddetti “progressisti” possano avere almeno una parte di colpa, per questo rischio di veder fallire le loro battaglie?
Io credo che la sinistra italiana, da tempo, soffra di manierismo borghese e salottiero. Grandi discorsi accademici e poca prassi. I giovani intellettuali, in Italia, non vengono quasi mai invitati ai talk show; se ci fate caso, anche nelle città c’è una sorta di lobby sinistrorsa che cede poco volentieri il potere consolidato da anni. Un’intellighenzia muffita e provinciale che traduce poco dall’estero e si fida solo di se stessa e di pochi altri affini. Si tratta perlopiù di intellettuali da bar e da talk show, che spesso fanno marchette in TV per evitare che ci si dimentichi troppo presto del loro pensiero debole.
Questi cosiddetti progressisti sono quindi poco fecondi di idee innovative, carenti di prassi sovversive; perciò, al momento del bisogno, non hanno la tonicità e la freschezza giusta per decostruire il discorso degli avversari.
Intervista a cura di Erica Gazzoldi
LETTERA APERTA
Salve, sono Ramona Parenzan, laureata in filosofia e autrice di libri per adulti e minori. Dal 2000 mi occupo di intercultura e adozione sia come operatrice, sia come insegnante di italiano per adulti e minori stranieri, sia, infine, come formatrice presso scuole di ogni ordine e grado.
Ho collaborato dal 2000 al 2005 con una Casa Editrice bresciana coordinando collane dedicate ai temi dell’intercultura e della didattica dell’italiano come lingua seconda.
Ho collaborato successivamente con comuni, cooperative e consultori di Brescia e Milano (ISMU, Fratelli dell’Uomo, Caritas, Come Farsi Prossimo) in progetti riguardanti tematiche sociali sempre molto legate al tema della multiculturalità.
Negli ultimi tre anni la mia attività laboratoriale nelle scuole è davvero molto copiosa, le insegnanti e i dirigenti, ma anche cooperative e comuni con i quali collaboro, mi chiamano ripetutamente grazie alla bontà del mio lavoro frutto di studio e formazione permanente.
Collaboro costantemente con la Casa Editrice Milena Edizioni e sono responsabile della collana editoriale FRONTIERE APERTE. Giovedì uscirà il mio ultimo libro PETALI all’interno del quale si trattano tematiche molto delicate come il bullismo, l’autismo, il ritardo cognitivo e l’adozione.
Tutti questi temi, come credo sappiate bene, sono temi di grande attualità sociale. Sono entusiasta di poter contribuire con la mia scrittura e con la mia partecipazione attiva in ambito didattico alla decostruzione di stereotipi e pregiudizi culturali di ogni sorta capaci, come sapete bene, di fomentare odio che molto spesso si declina in agiti di discriminazione se non in atti criminosi come l’omicidio.
Con la biblioteca di Calvagese ho già collaborato negli anni precedenti senza mai aver avuto problemi, per questo, credo, sono poi stata ingaggiata nuovamente dalla scuola di Mocasina che ha richiesto un intervento laboratoriale simile a quello svolto nello stesso Istituto l’anno precedente.
Il progetto MOSTRA INTERATTIVA MARIAMA E LA BALENA è finalizzato perlopiù a promuovere la conoscenza di storie, ritualità culturali (natural chalk sul volto di origine nigeriana e non solo) e narrazioni tratte dalla favolistica popolare di differenti Pesi (perlopiù Asia e Africa). Le narrazioni sono state da me performate all’interno di uno sfondo integratore “magico e immaginoso” molto gradito dai bambini che insieme a me hanno simulato un viaggio attraverso 4 Paesi: Afghanistan, Pakistan, Gambia e Sudan cantando, danzando e ascoltando fiabe che ospitano codici e valori comuni e universali (la gentilezza, la generosità, la mitezza etc).
Dai libri che i bambini hanno poi creato a casa o in classe si inferisce molto facilmente, la bontà dell’esperienza laboraotriale non solo in termini di arricchimento culturale, antropologico e direi UMANO, ma anche in termini artistico espressivi (a loro è stato chiesto di utilizzare tecniche miste e anche materiale da riciclo).
Questa spiacevolissima vicenda diffamatoria nei confronti della scuola, del suo corpo docente e ancora di più nei confronti della mia persona, non solo rischia di ledere il mio percorso professionale che finora non ha mai avuto inciampi, ma anche di frenare un percorso di apertura culturale (oggi più che mai necessario) nei confronti di nuovi mondi ancora da conoscere e apprezzare, per evitare di non imbatterci nelle facili trappole ideologiche orientate al razzismo e alla chiusura comunitaria capaci, ahinoi, di indurre sentimenti di odio nei confronti di tutto ciò che è altro e diverso.
Mi auguro, anzi auguro a TUTTI E TUTTE NOI, che questa vicenda così pesante e negativa possa invece servirci come stimolo di riflessione ed esortarci ad essere tutti un po’ più umani, colti, e aperti a nuovi mondi e nuovi modi di pensare.
Termino la lettera aperta con la frase finale della fiaba Pakistana recitata durante la mostra MARIAMA E LA BALENA:
L’unione fa la forza e non l’odio e l’individualismo.
Vivi saluti,
Dott.ssa Ramona Parenzan.